IMPARARE A IMPARARE
“Imparare a imparare”, è un qualcosa che sembra quasi assurdo. Eppure la competenza dell’apprendimento è un qualcosa che sta diventando sempre più fondamentale, non importante: fondamentale.
Partiamo dalle basi.
Se la formazione è una serie di iniziative volte all’acquisizione di conoscenze, competenze e atteggiamenti, se l’apprendimento consiste in cambiamenti sostenibili a livello comportamentale e cognitivo, e se il learning transfer indica quanto l’apprendimento che deriva dalla formazione viene applicato al lavoro o influisce sulla performance, allora l’obiettivo della formazione è un tipo di apprendimento che permetta l’acquisizione di competenze nel modo migliore possibile in modo che restino nel tempo e che vengano applicate.
Imparare a imparare vuol dire precisamente questo: saper modellare una formazione per sé stessi o per gli altri che generi un apprendimento di questo tipo.
In questo articolo andiamo a toccare questi punti:
- Perchè imparare a imparare
- Per chi è importante imparare a imparare
- I falsi miti della formazione e dell’apprendimento (rote learning, stili di apprendimento, cono di Dale, neuroscienze da bar)
- Come imparare a imparare
- Metodi formativi (tech-driven, aziendali, individuali)
PERCHÈ IMPARARE A IMPARARE
Imparare a imparare è una competenza fondamentale, e non serve che ce lo dica la Commissione Europea, basta guardare a quello che ci sta succedendo intorno: i cambiamenti a cui siamo esposti sono talmente radicali che richiedono una formazione continua semplicemente per stare al passo.
E questo vuol dire una cosa molto semplice: se le competenze sull’uso degli strumenti che dobbiamo acquisire diventano sempre nuove e dobbiamo essere sempre più rapidi nell’acquisirle, per l’appunto.
Dobbiamo accelerare la nostra capacità di raccogliere informazioni, immagazzinarle e poi dimenticarcene quando diventano irrilevanti.
Dobbiamo cioè imparare a imparare.
PER CHI È IMPORTANTE IMPARARE A IMPARARE
Imparare a imparare è importante, va bene, ma per chi lo è precisamente – a parte “per tutti”?
Presto detto, per tre profili: manager, HR, C-level e imprenditori.
È importante per gli HR, che devono in qualche modo sviluppare progetti di apprendimento che rispondano alle esigenze delle persone e dell’azienda, quel famoso learning design di cui si parla spesso.
È importante per C-level e imprenditori, se non altro per un discorso di competitività. Si dice che “o ti formi o resti indietro”, ed è più vero che mai in questo momento.
È importante sapere come imparare per i manager, visti i cambi continui nel mondo del lavoro e la loro necessità di restare al passo.
Se è vero infatti che grazie a strumenti di intelligenza artificiale e di automazione i manager hanno avuto uno scarico di lavoro (l’automazione libera le persone da compiti ripetitivi, automatizzati, se vogliamo, e anche parecchio di più), allora è anche vero che i manager stessi hanno sia necessità di formarsi su questi strumenti, sia più tempo da dedicare alla formazione di quelle che sono le competenze non replicabili: l’intelligenza emotiva, la comunicazione, la relazione, la creatività.
L’aspettativa è che i manager e le manager siano in grado di acquisire queste competenze rapidamente, di mantenerle e di applicarle.
Ed ecco che, visto in questo contesto, tutto il discorso sul sapere come imparare bene e rapidamente una competenza diventa non solo fondamentale.
Diventa un discorso di sopravvivenza.
I FALSI MITI DELLA FORMAZIONE E DELL’APPRENDIMENTO
Ora, fin qui tutto bene. Si parla di imparare, si parla di acquisire conoscenze, e probabilmente il collegamento più diretto che abbiamo con il mondo dell’apprendimento è la scuola.
Tutti abbiamo studiato e imparato alle medie e al liceo.
Abbiamo letto, sottolineato, ripassato e ripetuto – per poi fare il compito in classe.
La domanda che però in pochi si sono posti è “ma era il modo giusto di lavorare e di strudiare quello?”.
Purtroppo la risposta è un sonoro no.
Il mondo della formazione è piagato, sin dall’inizio cioè proprio sin dalla scuola, dal sopravvivere di alcuni falsi miti: metodi incoerenti, inadatti, a tratti dannosi per il processo di apprendimento – perché non vanno ad attivare nessuno dei processi di apprendimento del cui funzionamento invece siamo certi (spacing, interleaving, richiamo attivo – vedi sotto).
Il problema è che questi falsi miti sopravvivono per abitudine – e se il nostro obiettivo è davvero di imparare a imparare dobbiamo andare a vedere quali siano, dobbiamo conoscerli e saperli identificare per poi poterli evitare. Eccoli:
- Rote learning
- Stili di apprendimento (VARK)
- Cono di dale / piramide di Glasser
- Neuroscienze da bar
ROTE LEARNING

Il rote learning altro non è quello che abbiamo fatto tutti e tutte per prepararci a un compito in classe, cioè leggere, sottolineare, ripassare, rileggere, ripetere a voce alta – quello che ci han consigliato le nostre prof in sostanza.
E l’effetto, all’atto pratico?
Anche quello lo conosciamo tutti: un sacco di concetti disponibili nel breve periodo che però, non appena passata l’interrogazione o il compito, svaniscono.
Se questo è vero, allora la domanda che dobbiamo necessariamente porci è se sia effettivamente utile studiare in questo modo.
Se il nostro obiettivo è immagazzinare una serie di informazioni che vogiamo avere sulla punta della lingua per qualche giorno allora sì.
Se invece vogliamo apprendere una competenza nuova e poterla applicare nel tempo, meglio evitarlo.
GLI STILI DI APPRENDIMENTO (VARK)

Gli stili di apprendimento sono come le erbacce: non muoiono MAI.
Anche di questi ne abbiamo sentito parlare tutti. Il concetto di base è che ognuno di noi ha un modo migliore per imparare: alcuni apprendono meglio vedendo immagini, altri leggendo, alcuni ascoltando, altri ancora facendo.
Non c’è un test (riconosciuto) che ti possa far capire quale sia il tuo stile di apprendimento. Semplicemente sta a te valutare quale sia il modo in cui riesci a meglio immagazzinare e mantenere le informazioni.
Il problema immediato è che nessuno è in grado di autovalutarsi.
Qualsiasi autovalutazione è un bias. In uno studio, per esempio, è stato chiesto ai partecipanti se fossero più bravi della media a guidare un auto – il 70% riteneva di essere più bravo o brava della media, è evidente che c’è un qualche bias in gioco.
Il problema ben più grave però è che ad oggi non esiste alcuna prova scientifica dell’efficacia degli stili di apprendimento, men che meno della loro esistenza.
In altre parole non è mai stato provato che, su scala, le persone imparano di più con il loro stile di apprendimento preferito e meno con gli altri. Non esiste alcuna ragione per sostenere la loro esistenza – e allora perché credere nella loro efficacia?
Vero è che possono esistere modi diversi, più o meno efficaci, di imparare una competenza – si impara a riparare un auto meglio mettendo le mani nel cofano che ascoltando un podcast.
Ma questo dipende dalla competenza oggetto di studio, non dalla persona. e dalle sue preferenze
CONO DI DALE / PIRAMIDE DI GLASSER
Hai presente quei poster che promettono: “Ricordi il 10 % di quello che leggi, il 20 % di quello che ascolti, il 90 % di quello che fai”?
Ecco, quelle cifre non arrivano né da Edgar Dale né da William Glasser.
Dale, negli anni ’40, voleva solo mostrare che più un’esperienza è concreta (per esempio, fare un esperimento) e più è facile capirla; le percentuali sono state aggiunte in seguito da qualche entusiasta del marketing formativo.
Glasser, invece, parlava di educazione terapeutica: la famigerata “piramide” non compare in nessuna sua pubblicazione ufficiale.
Il Cono di Dale e la Piramide di Glasser vanno letti come promemoria “più fai, più capisci”, non come legge di natura con decimali incorporati.
LE NEUROSCIENZE DA BAR

La neuroscienza è una scienza per la quale ho un rispetto mostruoso, ma è una scienza, relativamente parlando, recente – un paio di decenni o giù di lì.
In più è una scienza complessa e al momento solo gli scienziati che ci lavorano quotidianamente hanno o dovrebbero avere qualcosa da dire.
Il problema è che come gli stili di apprendimento e la leadership la neuroscienza va di moda.
Per esempio, basta aprire YouTube per vedere il genio improvvisato di turno che parla della dopamina nella formazione.
Il messaggio, a spanne, è che la dopamina è un neurotrasmettitore checi dà un senso di gioia, di coinvolgimento, quando raggiungiamo un risultato – e che quando lavoriamo nella formazione dobbiamo stimolare il rilascio di dopamina nei partecipanti, in modo che diventino quasi dipendenti dalla formazione e vogliano formarsi sempre di più.
No, o quantomeno non necessariamente.
È vero che la dopamina ha anche questa funzione, ma è anche attiva nella digestione – quindi dome la mettiamo?
Altro esempio, quando su parla di “motivazione” in neuroscienza si intende un concetto ben diverso rispetto alla “motivazione” professionale.
Motivazione, in neuroscienza, è un istinto quasi primordiale che ci spinge all’azione per la nostra sopravvivenza.
E anche qui vediamo che le cose sono ben poco sovrapponibili.
Quindi – rispetto massimo per la neuroscienza, ma per tutti questi motivi magari è meglio lasciarla agli scienziati.
COME IMPARARE A IMPARARE
Arrivati a questo punto sappiamo che imparare a imparare è una competenza necessaria e urgente e sappiamo anche cosa dobbiamo evitare a tutti i costi per apprenderla.
In questo paragrafo andiamo a mettere l’ultimo tassello: cosa dobbiamo sapere per acquisire nuove competenze rapidamente e bene e per fare in modo che queste poi ci rimangano nel tempo.
COME FUNZIONA LA MEMORIA
Se vogliamo imparare a imparare, prima di tutto dobbiamo capire come funziona esattamente l’acquisizione delle competenze. Dobbiamo cioè parlare della memoria.
Intanto, non abbiamo solo una memoria: ne abbiamo quantomeno tre, ciascuna con caratteristiche e funzioni diverse:
- la memoria sensoriale
- la working memory
- la memoria di lungo periodo.
La memoria sensoriale ha un’ampiezza enorme e una durata brevissima: è l’insieme di tutte le informazioni che riceviamo con i nostri sensi. Tramite la memoria sensoriale percepiamo queste informazioni per circa mezzo secondo. Molte di queste vengono eliminate, alcune – quelle a cui prestavamo attenzione – passano invece alla working memory.
La working memory riesce a mantenere soltanto fra i 5 e i 9 elementi e ha una durata limitata, 20 secondi circa. Funziona più o meno come la RAM di un computer: riceve tramite l’attenzione alcune informazioni dalla memoria sensoriale che possono venire eliminate e dimenticate oppure codificate all’interno della memoria di lungo periodo, che è quello che ci interessa.
La memoria di lungo termine, ha invece ampiezza e durata potenzialmente infinite.
Se vogliamo imparare a imparare quindi dobbiamo concentrarci su due passaggi:
- tramite l’attenzione far passare le informazioni che ci interessano dalla memoria sensoriale alla working memory
- tramite la codifica, far passare le informazioni dalla working memory alla memoria di lungo periodo.
Questi due passaggi sono la base di tutto. Nei prossimi paragrafi andremo a sviscerarli entrambi.
1 – PASSAGGIO DA MEMORIA SENSORIALE A WORKING MEMORY
L’attenzione è quello che fa in modo che gli elementi che ci interessano arrivino alla working memory, è il protagonista del primo passaggio dell’apprendimento e dell’imparare a imparare.
L’attenzione però è ben più complessa di quanto possa sembrare.
Guarda questo filmato per esempio:
Questa era una campagna, in origine, di sensibilizzazione per fare attenzione ai ciclisti per le strade di Londra, ma che cosa ci dice, per quello che interessa a noi?
Un paio di cose.
Prima di tutto, ci dice che la nostra attenzione è monofocale: se vogliamo fare davvero attenzione a una cosa, non possiamo concentrarci su altro. Nel video questo vuol dire che se seguiamo la storia, perdiamo di vista gli altri dettagli importanti, e viceversa. Nella formazione individuale invece vuol dire che mentre stiamo studiando non possiamo fare nient’altro: le notifiche del telefono sono un problema, i pop-up, le mail, le telefonate.
Secondo, ci dice anche che se sviluppiamo dei corsi di formazione, se siamo degli HR o delle aziende EDTech, trainer, team leader o CEO, dobbiamo fare in modo che l’attenzione delle persone sia sempre diretta dove vogliamo noi. Se non lo è, l’apprendimento non avrà luogo.
Banale?
Forse, ma meno banale è vedere che non esiste un tipo di attenzione – ne esistono due: bottom-up e top-down.
BOTTOM-UP ATTENTION
La bottom-up attention è una reazione a uno stimolo esterno. Siamo attratti generalmente da cose che sono in movimento, cose che hanno contrasto di colore, che saltano all’occhio.
Nel video cosa saltava all’occhio?
Ovviamente il detective che conduceva la storia e i vari movimenti, e infatti abbiamo fatto attenzione a lui.
Se qualcuno avesse messo delle freccette colorate dicendo “fai attenzione alla giacca del detective che cambia colore”, avremmo invece notato quello e non avremmo seguito la storia – è fatto apposta, ovviamente.
TOP-DOWN ATTENTION
La top-down attention invece funziona in modo diverso: Non è una reazione a uno stimolo esterno, ma una scelta conscia riguardo a dove dirigerla.
In pratica, nella formazione, una volta che abbiamo attratto l’attenzione di qualcuno (bottom-up attention), dobbiamo essere capaci di mantenerla tramite esercizi, discussioni, coinvolgimento o simili.
In questo modo ci garantiamo che questa persona mantenga l’attenzione sugli argomenti del corso, e che non venga attratta da altro.
IN PRATICA
Il primo passaggio nella formazione è far sì che le informazioni che ci interessano passino dalla memoria sensoriale alla working memory.
Sappiamo che è possibile tramite l’attenzione, se ben utilizzata. In pratica questo vuol dire assicurarci che:
La bottom-up attention non venga attratta da altri stimoli – e lo possiamo ottenere rimuovendo gli stimoli esterni e integrando se possibile movimento, suono e contrasto all’interno del materiale che utilizziamo.
La top-down attention sia sempre stimolata – e lo possiamo ottenere creando coinvolgimento, per esempio rispondendo a domande o utilizzando strumenti come le Cornell Notes o la Gamification.
Fatto questo, possiamo passare al secondo steo: il passaggio delle informazioni che ci interessano dalla working memory alla memoria di lungo termine.
2 – PASSAGGIO DA WORKING MEMORY A LONG-TERM MEMORY
MEMORIA E SCHEMI
Il secondo aspetto su cui dobbiamo lavorare, è il passaggio dalla working memory alla memoria di lungo periodo attraverso un processo di codifica degli elementi che ci interessano all’interno di quelli che si chiamano schemi.
Uno schema, in questa definizione, è una struttura che racchiude elementi, esperienze e conoscenze legate a una determinata competenza.
Più lo schema è complesso e interconnesso, più possiamo dirci competenti in una materia.
Prendiamo il saper guidare, per esempio: quando iniziamo, dobbiamo inserire i primi elementi e collegarli (volante, cambio, pedali…).
Più andiamo avanti, migliore sarà la nostra dimestichezza in come tutti gli elementi interagiscono – per esempio scalare la marcia prima di una curva – e il nostro schema sarà di conseguenza più complesso e interconnesso.
Se poi prendiamo lo schema di un pilota professionista vedremo che il suo schema sarà ancora più complesso e interconnesso, proprio per la maggior quantità di esperienze, elementi e conoscenze a riguardo.
Sto semplificando ovviamente, ma la base è questa.
3 PILASTRI DELL’APPRENDIMENTO: COME CREARE E CONSOLIDARE GLI SCHEMI DELLA MEMORIA
Questo è forse il passaggio più importante dell’imparare a imparare: sapere come funziona la codifica delle competenze che ci interessano all’interno di questi schemi della memoria.
La codifica avviene in tre modalità:
- spacing
- interleaving
- richiamo attivo.
Imparare a imparare vuol dire conoscere questi tre elementi e vuol dire saperli applicare.
SPACING
Lo spacing è la ripetizione distribuita.
Vuol dire esporci o esporre i partecipanti di un corso di formazione allo stesso concetto più volte nel tempo, in un lasso di tempo più o meno lungo anziché concentrare tutto lo studio in un’unica sessione (come avviene nel “cramming” o “rote learning”).
INTERLEAVING
L’interleaving vuol dire invece lavorare su concetti diversi allo stesso tempo.
Per esempio imparare tutte le 4 operazioni insieme al posto di lavorare prima sulle addizioni, poi sulle sottrazioni e via dicendo.
L’interleaving funziona perché espone il cervello a un mix di informazioni diverse, costringendolo a fare connessioni nuove.
Rende più difficile l’apprendimento a breve termine, ma porta a una comprensione più profonda e a una maggiore adattabilità delle conoscenze. Rende il processo di apprendimento più difficile, ma è anche questa difficoltà che permette la codifica degli elementi negli schemi.
RICHIAMO ATTIVO
Il richiamo attivo consiste nel rispondere a delle domande legate alla competenza di riferimento.
Può sembrare simile al semplice ripasso, ma ne è ben diverso.
Ripassare vuol dire ripetere ad alta voce, richiamare informazioni vuol dire rispondere a delle domande e utilizzare la domanda stessa come fonte di apprendimento.
Dei tre, questo elemento è forse il meno intuitivo. Il fatto è che il solo atto di richiamare le informazioni è molto più efficace del semplice ripasso: aiuta a rafforzare le connessioni neuronali associate alle informazioni apprese, rendendo la memorizzazione più solida e duratura.
La cosa interessante è che anche quando non sappiamo la risposta o quando qeulla che diamo è sbagliata, il richiamo attivo funziona lo stesso: il solo cercare di rispondere a una domanda stimola lo schema di riferimento e lo consolida, anche se la risposta è sbagliata.
PERCHÉ SPACING, INTERLEAVING E RICHIAMO ATTIVO FUNZIONANO
Spacing, interleaving e richiamo attivo sono quelli che vengono chiamati gli “ostacoli desiderabili” nell’apprendimento, cioè dei processi che possono rendere il processo di apprendimento più lento rispetto ad altre modalità, ma che sono direttamente collegati alla creazione e al consolidamento degli schemi della memoria, e che ci portano quindi a un apprendimento più lento ma più mantenuto nel tempo
METODI FORMATIVI
Imparare a imparare vuol dire conoscere il funzionamento della memoria tramite attenzione e codifica, e sapere integrare spacing, interleaving e richiamo attivo all’interno della nostra metodologia di studio o formazione.
Sappiamo che i “falsi miti” non funzionano, perché non attivano nessuno di questi fattori, quindi li possiamo accantonare in pratica.
Sappiamo anche però che ci sono molti metodi formativi codificati il cui funzionamento è comprovato, proprio perché hanno già integrati al loro interno i concetti di spacing, interleaving e richiamo attivo.
Per semplicità li ho raggiuppati in tre aree: metodi formativi tech-driven, metodi formativi aziendali, metodi formativi individuali.
METODI FORMATIVI TECH-DRIVEN
La tecnologia è un tassello fondamentale della formazione, e quindi anche dell’imparare a imparare – se non altro per la sua pervasività.
C’è però un aspetto interessante: la presenza o l’assenza di una soluzione tecnologica nella formazione è totalmente ininfluente sull’efficacia della formazione stessa.
Diventa efficace se e solo se riesce a integrare spacing, interleaving e richiamo attivo al suo interno – ed è a quel punto che può fare davvero la differenza.
Vediamo due esempi: microlearning / LMS e gamification
MICROLEARNING + LMS

Microlearning e LMS (Learning Management System) funzionano spesso in parallelo.
Alla base il microlearning viene concepito come il presentare delle pillole di apprendimento (ad es. video brevi) facilmente digeribili che rendono lo studio più leggero, integrandole all’interno di una piattaforma, un LMS. Il sistema di per sé non è sbagliato, ma può essere applicato in modo inefficace o efficace, a seconda di quanto rispetti le regole dell’apprendimento.
APPLICAZIONE NON EFFICACE
Un’azienda tech pubblica una serie di video brevi, ciascuno della durata di 5-10 minuti, che coprono diversi aspetti del processo di sviluppo del prodotto (ad esempio, ottimizzazione del codice, strategie di testing, design UX). Tutti i video sono resi disponibili contemporaneamente nel portale di apprendimento aziendale. I dipendenti sono invitati a guardarli quando hanno tempo, con l’indicazione di completare il tutto entro X giorni.
L’aspettativa è che i dipendenti regolino il proprio studio, ma senza ulteriori specifiche si corre il rischio che guardino tutto il materiale in un colpo solo. Se poi non ci sono attività di follow-up o revisioni strutturate, è probabile che i dipendenti dimentichino gran parte del contenuto subito dopo aver visto i video. Questa impostazione non sfrutta né lo spacing né il richiamo attivo e lascia l’interleaving all’utente, rendendo l’apprendimento passivo e del tutto inefficace nel lugo termine.
APPLICAZIONE EFFICACE
La stessa azienda riorganizza il programma di microlearning rilasciando un video di 5-10 minuti ogni settimana per un mese. Dopo ogni video, i dipendenti ricevono un breve quiz per verificare i concetti chiave (richiamo attivo) e vengono invitati a rivedere il contenuto della settimana precedente attraverso domande di revisione distribuite. Inoltre, i video coprono argomenti di discipline diverse: la prima settimana si parla di coding, la seconda di UX, e la terza si ritorna al coding con una prospettiva diversa, assicurando l’interleaving delle competenze.
Questa versione rispetta i principi della ripetizione distribuita, dell’interleaving e del richiamo attivo. Distribuendo il contenuto nel tempo e integrando quiz e promemoria, i dipendenti sono più propensi a ricordare e applicare le conoscenze acquisite, migliorando i risultati di apprendimento a lungo termine.
GAMIFICATION
APPLICAZIONE INEFFICACE
Un’azienda introduce un’app di apprendimento gamificata in cui i dipendenti guadagnano punti e badge completando varie sfide di coding. Tuttavia, le sfide sono tutte basate su un unico linguaggio di programmazione e devono essere completate entro una giornata. Non c’è possibilità di pratica distribuita e la classifica spinge i dipendenti a finire il maggior numero possibile di sfide in poco tempo.
Questo approccio si concentra su vittorie rapide piuttosto che su un apprendimento duraturo. Poiché le sfide sono concentrate in un’unica giornata (niente spacing) e si focalizzano su una sola area (niente interleaving), i dipendenti potrebbero sentirsi sotto pressione per completare le attività senza realmente assimilare il materiale. Inoltre, non ci sono meccanismi di revisione per rafforzare l’apprendimento (assenza di richiamo attivo).
APPLICAZIONE EFFICACE
La piattaforma gamificata offre sfide di coding distribuite su diverse settimane, con compiti che ruotano tra diversi linguaggi di programmazione e competenze (interleaving). I dipendenti vengono premiati non solo per il completamento delle sfide, ma anche per l’accuratezza e la coerenza nel richiamare le lezioni passate. Dopo aver completato ogni sfida, ricevono un quiz che rivede i concetti chiave delle settimane precedenti, rafforzando la memoria (richiamo attivo). Le classifiche vengono aggiornate settimanalmente per incoraggiare un coinvolgimento distribuito nel tempo, piuttosto che il “cramming”.
Questo approccio rispetta i principi dello spacing, dell’interleaving e del richiamo attivo. L’attenzione si sposta dalla velocità all’apprendimento a lungo termine, rendendo la gamification più efficace per lo sviluppo reale delle competenze.
METODI FORMATIVI AZIENDALI
Questi metodi sono rilevanti per chiunque si occupi di offrire o organizzare formazione.
È chi forma che deve imparare a imparare, per poi integrare i concetti di base nei suoi metori e permettere a chi ascolta di meglio comprendere e immagazzinare i concetti più rilevanti.
MENTORING / SHADOWING
APPLICAZIONE INEFFICACE
Un dipendente affianca un senior product manager per tre giorni consecutivi. Il dipendente osserva il manager condurre riunioni, creare roadmaps di prodotto e interagire con gli stakeholder. Tuttavia, l’affiancamento è molto passivo, e non c’è opportunità per il dipendente di partecipare attivamente o riflettere su ciò che ha osservato.
Questo approccio passivo non incoraggia un coinvolgimento attivo o una revisione. Senza ripetizione distribuita o interleaving di diverse competenze, e senza attività di richiamo attivo (come riassunti o applicazioni pratiche), l’esperienza di affiancamento diventa meno efficace per la ritenzione delle conoscenze.
APPLICAZIONE EFFICACE
L’affiancamento è distribuito su diverse settimane, con il dipendente che osserva aspetti diversi della gestione del prodotto in giorni diversi—pianificazione strategica una settimana, riunioni con gli stakeholder la successiva e coordinamento del team la settimana seguente (interleaving). Dopo ogni giornata di affiancamento, il dipendente è invitato a scrivere una riflessione sull’esperienza e a discutere le lezioni principali con il manager durante una sessione di follow-up (richiamo attivo). Questo affiancamento strutturato permette al dipendente di approfondire progressivamente la sua comprensione.
Questo approccio utilizza spacing, interleaving e richiamo attivo, rendendo l’affiancamento molto più efficace. Il mentee ha tempo per assimilare le informazioni tra una sessione e l’altra, mentre la revisione periodica e la pratica garantiscono che le conoscenze si consolidino.
workshop
Questo è un metodo che mi tocca da vicino, perché una cosa che tuttora mi viene chiesta spesso è la “giornata di formazione”.
Capisco che ci sono questioni di budget e performance delle persone ma a livello puramente di formazione, la giornata di otto ore di formazione serve a poco, soprattutto se l’organizzazione si aspetta un qualcosa di frontale, dove le persone ascoltano, ricevono, e dopodiché hanno una serie di informazioni mostruosa ma non hanno avuto modo di implementarle nel quotidiano.
Per mediare il tutto e fare in modo che i concetti affrontati restino, propongo sempre un video di invito di preparazione, seguito una settimana dopo da un workshop altamente pratico in cui includo domande e aspetti pratici, seguito poi da del materiale e un mese dopo una sessione di debriefing – in questo modo vado a toccare tutti e tre i pilastri e garantisco una permanenza maggiore dei concetti affrontati.
Vediamo un altro esempio.
APPLICAZIONE INEFFICACE
Un bootcamp di due giorni su infrastrutture cloud è offerto ai dipendenti, dove vengono introdotti ai servizi AWS come S3, Lambda ed EC2. Il workshop è molto intenso e cerca di coprire il maggior numero possibile di informazioni nei due giorni. Una volta terminato il bootcamp, i dipendenti tornano alle loro attività quotidiane senza alcun follow-up strutturato.
Accumulare così tante informazioni in due giorni non lascia spazio per una pratica distribuita, e senza meccanismi di richiamo o revisione, i dipendenti probabilmente dimenticheranno gran parte di ciò che hanno imparato alla fine del bootcamp.
APPLICAZIONE EFFICACE
Il bootcamp viene riprogettato per includere l’apprendimento distribuito. Dopo il workshop di due giorni, i dipendenti ricevono e-mail di follow-up una volta a settimana per il mese successivo, ciascuna contenente un breve riepilogo dei servizi AWS appresi, accompagnato da compiti pratici per applicare i concetti. Ogni compito richiede loro di lavorare su un aspetto diverso di AWS (interleaving), e i quiz periodici garantiscono che ricordino quanto appreso durante il bootcamp (richiamo attivo). I dipendenti sono anche incoraggiati a discutere i loro progressi in piccoli gruppi di lavoro.
Questa versione integra la ripetizione distribuita, l’interleaving e il richiamo attivo, rendendo il bootcamp più efficace per l’apprendimento a lungo termine. Le attività di follow-up assicurano che i dipendenti non solo conservino le informazioni, ma possano applicarle in contesti reali.
METODI FORMATIVI INDIVIDUALI
Imparare a imparare è un lavoro anche individuale: siamo noi ad avere controllo del nostro apprendimento nel momento in cui comprendiamo come funziona il tutto.
Di seguito ti lascio alcuni metodi che attivano spacing, interleaving e richiamo attivo che puoi utilizzare indipendentemente oppure incorporare nella tua fruizione di workshop o mentoring rendere ancora più efficace il processo formativo.
Una sola accortezza: questi metodi non si escludono a vicenda, anzi la loro applicazione in parallelo può dare risultati ancora migliori.
FLASHCARD
Le flashcard sono probabilmente il modo migliore per l’apprendimento efficace, scientifico e di lungo periodo.
Ogni flashcard è un pezzo di cartoncino con una domanda scritta sopra, e con dietro la risposta alla domanda.
Le possiamo scrivere mentre studiamo o ascoltiamo, oppure le sviluppiamo in parallelo con le Cornell Notes, dopodiché le possiamo utilizzare per studiare o riprendere i concetti a cui si riferiscono.
Nella loro semplicità, le flashcard sono uno strumento potentissimo: possiamo rivederle più volte nel tempo (spacing), possiamo mischiare domande relative ad argomenti diversi (interleaving), e il fatto stesso che consistano in una domanda implica un uso costante del richiamo attivo.
CORNELL NOTES

Le Cornell Notes prendono il nome dall’università di Cornell, negli Stati Uniti, e altro non sono che un modo (molto) più efficace di prendere appunti.
Si parte con il dividere il foglio in tre parti: due colonne in verticale (un terzo a sinistra e due terzi a destra) una riga orizzontale a fine pagina.
Mentre si ascolta o si studia, si riassumono informazioni e concetti chiave nella colonna di destra.
Fatto quello, si aggiungono delle domande nella colonna di sinistra, domande la cui risposta è già contenuta nella colonna di destra (queste poi possono costituire la base delle flashcard)
Terzo step, si riassume il tutto. Nello spazio dedicato in fondo alla pagina si fa un riassunto di quanto si è capito.
Prendere appunti in questo modo è più difficile, certo, ma ricordiamoci che imparare a imparare è anche sapersi porre davanti degli ostacoli desiderabili – ossia degli stimoli che aiutino a far passare concetti chiave nella memoria di lungo termine e a mantenerli.
Le Cornell Notes rispondono egregiamente a questo bisogno.
MAPPE CONCETTUALI E DIAGRAMMI
Una mappa concettuale è un ottimo modo per attivare il richiamo attivo perché costringe il cervello a “pescare” dall’archivio mentale non solo i singoli concetti, ma anche le relazioni che li legano: mentre disegni nodi e frecce, stai recuperando informazioni in modo deliberato e generativo, lo stesso meccanismo che rende efficaci le flashcard e i quiz a risposta libera.
Semplificando, dato un argomento oggetto di studio, possiamo mappare la sua struttura visivamente seguendo tre micro-passi:
- Brain dump: senza riaprire gli appunti, scrivi al centro il tema principale e intorno i primi 5-7 concetti che ti vengono in mente.
- Connessioni: traccia linee direzionali fra un nodo e l’altro e aggiungi un verbo (“genera”, “dipende”, “contrasta”) che espliciti il legame logico.
- Livelli: per ogni concetto chiave, inserisci sotto-nodi di dettaglio finché senti di aver “scaricato” tutto ciò che ricordavi. Solo a questo punto confronti la mappa con il materiale originale per colmare eventuali buchi: l’intervallo tra recupero e verifica è ciò che rafforza la memoria.
Per esempio: la mappa concettuale di questo articolo avrebbe al centro “Imparare a imparare”; da qui partirebbero rami verso “Memoria e attenzione”, “Falsi miti” (cono di Dale, stili VARK…), “Spacing-Interleaving-Richiamo”, “Metodi formativi” (tech-driven, aziendali, individuali).
Disegnarla di getto subito dopo la lettura innesca il richiamo attivo, poi rivederla una settimana dopo aggiungendo dettagli (es. esempi di microlearning efficace) funge da spacing: insieme, i due passaggi spostano i concetti nella memoria di lungo termine e ne aumentano la disponibilità operativa quando serviranno sul lavoro.
CONCLUSIONE
Nel contesto di cambiamento accelerato che caratterizza il lavoro contemporaneo, “imparare a imparare” non è un vantaggio accessorio ma una competenza-ombrello che regola tutte le altre.
Smontare miti seducenti – dal Cono di Dale alle percentuali della Piramide – è il primo passo per un approccio evidence-based.
Il secondo è adottare strumenti che amplificano i meccanismi cognitivo-comportamentali comprovati: attenzione focalizzata, pratica distribuita, interleaving e richiamo attivo. Mappe concettuali, flashcard algoritmiche e workshop strutturati in micro-cicli non sono “gadget”, bensì veicoli concreti di tali processi.
Per manager, HR e imprenditori la sfida ora è duplice: progettare ecosistemi di apprendimento che incorporino questi principi e, parallelamente, creare metriche di learning transfer che vadano oltre la soddisfazione immediata. Chi saprà farlo non solo manterrà la propria competitività, ma costruirà organizzazioni in grado di adattarsi e di prosperare in mercati sempre più dinamici.